Per il bene pubblico e lo sviluppo culturale.
Sul Corriere della Sera del 25 Marzo scorso il giornalista Giuseppe Pullara sottolinea la necessità impellente di trovare il modo di riconvertire ad un qualche uso, lo stadio Olimpico una volta abbandonato dalle società calcistiche di Roma e Lazio, per evitare di fargli fare la stessa fine indecorosa dello stadio Flaminio. Ovvero, il giornalista sottolinea come la funzione dell’edificio, la sua vitalità all’interno dell’economia della città, debba necessariamente ritrovare velocemente una collocazione per non farlo cadere in rovina. Lo stesso ragionamento fa per le Vele di Calatrava: cattedrale nel deserto della programmazione evolutiva della città di Roma: mai entrato in attività.
A questo articolo si aggiunge l’intervista del presidente dell’Ordine degli Architetti di Milano Federico Aldini, del 2 agosto 2023, che esprime tutta la sua amarezza per l’apposizione del vincolo di interesse culturale sullo stadio Milanese del Meazza che di fatto lo condanna proprio all’abbandono, visto che lo stadio non risponde più alle loro esigenze, e con l’abbandono dello stadio la perdita ulteriore dell’occasione di rigenerare il quartiere.
Sembra che le città italiane siano destinate all’abbandono proprio per cercare di preservarle. Una mescola micidiale fatta di poca chiarezza nelle leggi che incidono sulla rigenerazione delle città, gli interessi privati dei comitati di quartiere che spesso intralciano lo sviluppo di progetti, i tempi mai definibili per gli assensi dei vari enti generano ristagno culturale e la mancanza di investimenti dei privati.
Tale deriva produce, infatti, insicurezza negli investitori che, non avendo chiari i tempi di sviluppo delle operazioni, decidono di non rischiare i propri capitali. E i capitali dei privati sono importantissimi per la Capitale: le risorse del tanto sbandierato PNRR a fondo perduto, non arrivano al 10% del PIL. Un’amministrazione intelligente riuscirebbe a catalizzare annualmente investimenti pari al 11% del PIL con fondi privati, realizzando rigenerazione urbana ed inclusione sociale in tutta Italia: 225 miliardi l’anno di investimenti oggi persi per pastoie burocratiche oppressive (fonte CGIA- Centro Studi Artigiani e Piccole Imprese).
Le amministrazioni pubbliche devono avere la capacità di leggere le sfide odierne e future nel loro complesso e dare delle risposte che non siano basate su decisioni finalizzate al consenso popolare istantaneo, ma su orizzonti ampi che, anche se non danno un ritorno immediato in termini di consenso politico, alla lunga hanno la capacità di risolvere i problemi macroscopici della società, permettono uno sviluppo ordinato e coerente alle necessità del paese e, spesso, impediscono la fuga dei nostri giovani più capaci all’estero. Ma dobbiamo fare i conti con i portatori di interessi privati che ogni volta che ci si accinge a fare un intervento nuovo in città, si alzano a difendere il proprio orto: i fautori del “not in my backyard”. Dare retta a costoro che si alzano in piedi a difendere i propri privilegi, affossa lo sviluppo della capitale. Interpretare le leggi urbanistiche a seconda dell’articolo che si legge sui giornali e che dà voce a chi vuole proteggere il proprio privilegio, affossa Roma e la rende ogni volta meno appetibile agli investimenti. Ascoltare gruppetti di cittadini che non vogliono alcun intervento nell’esclusiva ottica del “not in my backyard”, considerando la cosa pubblica, e la cosa altrui, come esclusivo patrimonio privato che non deve cambiare per non disturbare il Comitato di quartiere di turno, affossa Roma.
La politica deve avere un progetto di grande respiro e deve prescindere dai tornaconti personali del comitato locale che vuole difendere il proprio orto esclusivo, a danno del risveglio culturale ed economico della Capitale.
Non è il tempo delle divisioni tra uffici pubblici che hanno a vario titolo competenze sulla modifica delle città e del privato. È tempo invece di un coordinamento illuminato che dia indirizzi di sviluppo concreti e che rimetta al centro di ogni cosa la sostenibilità ambientale, oggi divenuta prioritaria, e insieme permetta al paese di continuare sul percorso già battuto diverse volte, dello sviluppo culturale: le nostre città d’arte sono quelle che sono perché si è avuto il coraggio di costruire spesso anche demolendo ed eliminando brani di città degradata. Azione questa che oggi è spesso osteggiata proprio da coloro che amano i prodotti artistici provenienti da azioni che combattono nel presente.
Stare fermi e paralizzati e porre ai margini lo sviluppo culturale, per non disturbare l’ambiente “radical chic” dei quartieri bene, equivale sempre a porsi in un acquitrino stagnante che può inizialmente dare sicurezze, ma che alla fine non risponde più alle esigenze della città. E le città oggi sono in competizione per attrarre risorse in termini di investimenti e in termini di giovani cervelli: attualmente l’Italia espelle gli uni e gli altri.
Investire sulle città italiane oggi è impresa ardua: gli uffici che si sovrappongono con le loro competenze sono infiniti, le conferenze dei servizi che dovevano evitare lungaggini burocratiche, sono disattese dagli stessi uffici che di fatto hanno paura di concludere i procedimenti senza i pareri richiesti perché, come spesso dicono, una volta chiuso il verbale nei termini previsti dalla legge, spesso la procura della repubblica appare a controllare il loro operato; e quando non appare e si arriva al tanto agognato titolo edilizio, e ci possono volere minimo dodici mesi, può apparire la denuncia del vicino o del comitato di quartiere che mette in moto un procedimento civile che ritarda ulteriormente la riqualificazione del tessuto urbano: si legga l’ennesimo attacco cieco dell’ennesimo comitato di quartiere “not in my back yard” che trova spazio sempre nel Corriere della Sera del 2 agosto 2023 intitolato “Nasce ai Parioli un Palazzone, i residenti: <<Uno scempio>>.
Non si critica l’ennesimo comitato “anti qualsiasi cosa sappia di nuovo” e a difesa della paralisi, anche quando questa agevoli la permanenza di aree degradate, bombe sociali dove il malaffare si diffonde andando a creare un ambiente ideale per la delinquenza: si veda il quadrante dello scalo San Lorenzo, dove una povera ragazza è rimasta vittima di una delle tante zone centrali degradate di Roma. Critichiamo invece chi raccoglie i mal di pancia di comitati che non conoscono spesso neanche cosa criticano, non sanno quale siano gli effetti delle loro azioni e proteggono un interesse esclusivamente di parte: di quella parte che spesso è la parte più fortunata della nostra società.
Roma rischia di perdere l’interesse generato negli operatori economici, derivante dalla saturazione delle operazioni su Milano, rischia di divenire refrattaria agli investimenti e all’espressione culturale; quell’espressione culturale e architettonica che invece nel passato ha prodotto la stratificazione ultra secolare di edificato che compone la Capitale e che oggi tuteliamo come bene culturale di eccezionale valore artistico. Si è perso il piacere dell’innovazione e della ricerca compositiva sulla città. Quella produzione che nei secoli passati ha portato la cittadinanza romana a stupirsi di fronte all’originalità compositiva di un edificio, o di un gruppo scultoreo, o di tutte e due insieme.
Roma oggi è una città inespressa in attesa di rinascita, ostaggio di pochi fortunati che inchiodano in un limbo di inespressività culturale tutta la città, che la fanno diventare una città affatto interessante per i giovani che cercano nelle città possibilità e vitalità. I nostri giovani cercano energia positiva dove crescere, imparare e dare il proprio apporto. Ma forse fa proprio paura questo a coloro che osteggiano il nuovo. Fa paura perdere il proprio stato di privilegio: fosse anche per il privilegio di poter avere un posto macchina in più dove parcheggiare la propria auto. Pura cecità autodistruttiva.
Serve allora il coraggio della politica a fare ciò che deve essere fatto per il bene di tutti.
Il coraggio della politica nell’abbracciare orizzonti ampi e nel selezionare le forze migliori del paese per spingere Roma ad essere di nuovo centro di gravità.
Il coraggio di ascoltare i portatori di interessi privati, ma di prendere le decisioni in vista del bene di tutta la società.
Il coraggio degli operatori economici di centrare con il profitto anche il miglioramento del nostro paese.
Il coraggio dei professionisti di farsi strumento del racconto della nostra società e del suo sentire.
E infine il coraggio di noi tutti, della nostra società nel farsi parte attiva, propositiva e di espressione della nostra epoca: non essere indifferenti, partecipare alla vita del Paese, contribuire positivamente a costruire il futuro comune e non a tutelare i propri esclusivi interessi.
La nostra Capitale ha tutte le carte in regola per tornare di nuovo centro di produzione architettonica ed artistica. Siamo fortunati perché più di una volta Roma è stata centro di produzione culturale, attrattore di talenti e di investimenti: e il prodotto di tale cultura è sotto gli occhi di tutti.
Guardare indietro, però, non servirà a niente se non si avrà la capacità ed il coraggio di guardare avanti, di camminare e testimoniare così ai nostri posteri che, anche noi come i nostri antenati, siamo vissuti ed abbiamo contribuito con il nostro operato a lasciare le testimonianze del nostro sentire.
È questo un obiettivo importante che richiede l’impegno di tutti.
Nessuno escluso.