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Della passione e dell’apatia

La fuga dal ristagno delle idee e l’attrazione per i centri di attività economica e culturale.

C’è un sipario che non riusciamo ad alzare. Una cortina pesante che impedisce di vedere quale sia il vero nodo che non ci permette di dare quella propulsione positiva che servirebbe a far ripartire le nostre città, a farle diventare, di nuovo, centro di produzione culturale.

Eppure viviamo quotidianamente le nostre città d’arte, ci camminiamo in mezzo tutti i santi giorni. Ci parlano le nostre città. Ci raccontano di come siano nate, in quale processo socio economico e culturale. Non ci raccontano solo di come siano state costruite, ma ci dicono da quale spinta di ricerca di conoscenza siano derivate, quale sistema sia stato messo in moto per generare tanta bellezza.

Perché è di ricerca estetica che si parla. 

Le nostre vite non avrebbero senso se alla base di tutto non ci fosse una ricerca progressiva verso la conoscenza, se alla base della nostra vita non mettessimo quegli obiettivi che ci fanno palpitare, che ci entusiasmano che ci rendono vivi. 

Nelle ultime tre righe vi è la base produttiva di ogni ricerca culturale che è stata il perno della produzione delle nostre città d’arte e che ancora entusiasma altre città estere e le porta ad essere centri di produzione culturale, tanto da attirare i più valenti professionisti da tutto il mondo, come le nostre città hanno fatto nel loro passato.

La ricerca. Il cammino verso la scoperta. L’entusiasmo della scoperta. La capacità di rimanere estasiati di fronte ad un opera che rispecchia il sentire comune e ne sublima tanto la propria anima da rimanerne migliorati e, alcune volte, addirittura commossi.

La passione!

Le nostre città sono nate dalla passione dei migliori interpreti delle varie epoche che hanno cercato le condizioni più propizie dove esprimere il proprio sentire.

Ma dietro a quegli interpreti c’era una visione politica complessiva della città. C’era la volontà di mettere al centro lo sviluppo culturale, e quindi economico, della propria città, del proprio paese. La politica creava le condizioni ottimali all’interno delle quali esplodeva e si concretizzava in opera artistica, il sentire  comune di ogni epoca. Tali condizioni facevano aumentare la gravità attrattiva delle città facendole diventare centri di espressione culturale mondiali.

Molte città sono state prese da questa febbre produttiva ed espressiva. E tale febbre non ha preso solo una ristretta cerchia elitaria. Al contrario è stata una febbre di popolo che si sentiva parte di un progetto comune e al quale voleva dare il proprio contributo, piccolo che fosse. Pensiamo alla Barcellona delle Olimpiadi del 92, alla Parigi di Mitterrand, alla Berlino della riunificazione post muro, pensiamo alla New York e alla Copenhagen di oggi. Progetti sociali di straordinario valore che hanno prodotto identità culturali forti.

Questo deve fare la politica. Creare le condizioni attrattive perché quella febbre culturale si produca e riesca a raccontare a tutti chi siamo oggi. Rendere in opere d’arte concrete la nostra vita. Sì perché chi racconterà ai nostri posteri chi siamo stati, su quali passioni abbiamo vissuto, in che cosa abbiamo creduto e cosa abbiamo amato, non saranno i conti in banca o quante macchine o case siamo riusciti ad acquistare. Al contrario. La conoscenza del nostro sentire passerà ai posteri com’è sempre stato, attraverso le opere d’arte che sono condensazione di sentire comune portato all’evidenza di tutti. 

Il progresso sociale tramite quello culturale.

Per questo è importante cercare i più capaci (soprattutto attraverso sistemi di competizione virtuosi), per questo serve essere attrattivi. Per questo serve avere una visione integrata della città. Per questo non ci serve una città impaludata dall’apatia che è l’esatto contrario della passione. La passione ed il fervore culturale partono dalla possibilità di poter far parte in prima persona di un progetto unico. Questo attira i più capaci, giovani o meno giovani che siano. L’apatia, l’arrocco su posizioni di privilegio e la certezza che gli incarichi “ad personam” soffochino il fuoco della passione culturale e non permettano a chi è effettivamente più capace e bravo di esprimersi, respinge i capaci e blocca lo sviluppo culturale ed economico.

E’ in questo stato di cose oggi si trova Roma, ma anche altre città italiane. Ferme. Apatiche. Senza un orizzonte che non sia la risoluzione dei problemi primari (buche e immondizia), che proprio non riescono a far innamorare nessuno, ma che anzi generano ulteriori frizioni.

E’ l’incarico “ad personam”, su progetti importanti, l’esemplificazione massima di come una città non dovrebbe procedere: dove non c’e’ competizione, c’è il ristagno culturale e la certezza di non trovarsi in un luogo performante capace di produrre espressione artistica.

Ho chiesto al Sindaco Gualtieri, in occasione della chiusura del festival dell’architettura FAR dell’Ordine degli architetti ppc di Roma e provincia, un progetto coraggioso che facesse innamorare i suoi cittadini. 

Chiusura del Festival dell’Architettura “FAR” dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia.

La partenza deve essere dal suo funzionamento complessivo. L’obiettivo deve essere creare i presupposti di una città con forte attrazione culturale e quindi economica: partire dalla velocità di espressione e concretizzazione degli investimenti; dal riassetto degli uffici pubblici che devono funzionare, che devono avere le adeguate risorse umane e materiali; dalla digitalizzazione; dalla capacità di reazione dei provvedimenti pubblici; dalla effettiva capacità di semplificare; dall’educazione alla partecipazione dei giovani alla cosa pubblica; dal funzionamento delle infrastrutture; da una struttura capace di immaginare evoluzioni prima sociali e poi territoriali che rigenerino i quartieri delle nostre città, con investimenti pubblico privato; dalla riforma propositiva delle scuole; dalla riforma propositiva del curarsi, del vivere, del giocare, dello spostarsi e dell’abbeverarsi alla fonte della cultura. 

E tutto questo realizzarlo con le forze migliori selezionate su base meritocratica, in assenza di incarichi diretti. Tutti devono partire con le stesse possibilità. E la proposta migliore in ogni settore deve poter essere costruita in tempi rapidissimi.

Non c’e’ un progetto che si possa proporre senza integrare tutti questi fattori e farli diventare un unico progetto. E questo è compito della politica. Questi problemi sono, alla stessa stregua di buche ed immondizia, necessità primarie che devono essere risolte per poter far diventare le nostre città, di nuovo, centri gravitazionali di sviluppo economico e culturale, e ultimo, ma non ultimo,  saremo finalmente in grado, come accaduto in passato, di raccontare ai nostri posteri chi siamo stati e, soprattutto, che siamo esistiti.